Se consultiamo la Mappa di pericolosità Sismica dell’Italia (sito INGV), ci rendiamo conto dell’ estrema vulnerabilità del nostro Paese. Il Dipartimento di Protezione Civile ha classificato i comuni italiani secondo 4 classi di pericolosità sismica sulla base dell’intensità, la localizzazione e la frequenza dei fenomeni sismici del passato. A partire da questa classificazione, le aree a rischio sismico elevato sono composte dai comuni classificati in zona sismica 1 e 2.
Il 56% degli edifici residenziali esistenti nelle zone sismiche 1 e 2 è stato realizzato prima del 1970, si tratta dunque di un patrimonio che non prevede l’utilizzo di tecniche costruttive antisismiche. Soltanto il 5% degli edifici in zona a rischio elevato è stato realizzato negli anni 2000, quando le norme tecniche hanno imposto criteri molto più restrittivi che in passato.
Altro dato interessante è relativo alla tipologia di edilizia presente. Il 55% degli edifici esistenti nelle aree ad elevato rischio sono realizzati con muratura portante e soltanto il 33% con strutture il calcestruzzo armato.
La convivenza nei secoli con il terremoto, ci ha permesso di capire l’effetto prodotto e i danni causati soprattutto sugli edifici in muratura che, tradizionalmente e storicamente, rappresenta il nostro più vasto patrimonio edilizio nazionale.
Gli edifici in muratura che nel tempo hanno avuto lievi danni causati dal terremoto, sono quelli che hanno mostrato di avere il cosiddetto "comportamento scatolare". Affinché si possa instaurare un corretto funzionamento dell'edificio, devono essere valutate ed eliminate le carenze strutturali gravi, spesso frequenti negli edifici in muratura esistenti:
- cattiva qualità dei materiali e della tessitura muraria (murature a sacco con scarsi collegamenti tra i paramenti) e quindi bassa resistenza della muratura;
- mancanza di collegamenti tra pareti e pareti e tra pareti e orizzontamenti, con conseguente deformabilità;
- presenza di spinte non contrastate o eliminate (volte ed archi);
- carenze nelle fondazioni.